Una mia breve (ma non troppo) dichiarazione di voto al Referendum

//Una mia breve (ma non troppo) dichiarazione di voto al Referendum

Volete un mio parere secco? non ve lo do.
Sarebbe uno sminuire una materia ed una scelta così importante.
Sono stata molto indecisa nel prendere questa decisione. Ho fatto decine e decine di audizioni con esperti. Ho riletto passaggi del dibattito dell’assemblea costituente.
Essendo libera dalle maglie di partiti/movimenti, sono libera di farmi una mia idea senza ricatti morali di sorta.
Per consentire un maggior discernimento e libertà nel voto, mi ero prodigata a raccogliere firme per un referendum con più quesiti (www.vogliamoscegliere.it).
Di questo il partito di maggioranza non era affatto contento (me ne sono inimicati parecchi), come non erano contenti quei deputati di ala-ncd che non volevano perdere credito con il governo (non vi dico le conversazioni assurde avute in merito e l’ostracismo dimostrato).
Non erano contente nemmeno le opposizioni, che, volendo buttare giù il governo, preferivano un voto secco.
Dunque ricordatevelo, quando illustri esponenti delle opposizioni vi parleranno di democrazia, di voto libero, di importanza dell’istituto referendario si stanno solo sciacquando la bocca.

Sono certa che se si fossero raccolte le firme necessarie, l’ufficio centrale di cassazione avrebbe approvato lo spacchettamento (non entra nel merito del quesito). La palla, in caso di ricorso, sarebbe passata alla corte costituzionale. E dunque le probabilità di spacchettamento a mio avviso sarebbero state concrete.
Ma com’è finita lo sapete.

ABOLIZIONE DEL CNEL E ALTRI PUNTI
Credo che pochi siano contrari all’abolizione del CNEL, organo costoso e poco produttivo, al tetto agli stipendi dei consiglieri regionali, allo statuto delle opposizioni, all’abolizione delle province. Ho qualche dubbio sulla modifica della raccolta firme degli istituti referendari (mi aspetto una revisione ed attualizzazione della normativa, perché ad oggi raccogliere le firme è complesso per i partiti più piccoli che non hanno eserciti di consiglieri comunali che certificano le firme. Anche quando li hanno vediamo i pasticci che creano).

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E CORTE COSTITUZIONALE
Oggi la legge elettorale in vigore è l’italicum, (il premier ha promesso di rivederlo).
Ma dato che non ci possiamo rifare a delle promesse, ad oggi dal VII scrutinio servono i 3/5 dei presenti per eleggere il PDR. La maggioranza (post italicum) dunque deve cercare voti. E non è mai una partita facile quella del PDR. Dunque non mi sento di paventare il rischio dittatura della maggioranza, considerando i franchi tiratori sempre allegri per queste elezioni, e considerando che in Italia ancora esiste un peso dell’opinione pubblica e dei media. Su giudici consulta, ricordo che il parlamento è stato bloccato per MESI su giudici della corte costituzionale, collezionando flop e brutte figure. Dunque non mi dispiace rivedere anche questa parte.
TITOLO V
Mi sto occupando da diverso tempo di digitalizzazione. Mi sono occupata in passato di turismo. E’ assolutamente vero che ci sia eccessivo frazionamento, riguardo aspetti su cui tutti i cittadini dovrebbero essere allo stesso livello.
Ogni regione ed ente locale sviluppa piattaforme informatiche diverse, per funzioni medesime su tutto il territorio nazionale. Gestione bollo auto, fascicolo sanitario elettronico, sistema del servizio per l’impiego sono tutti sistemi che fra di loro non interagiscono, non sono, in gergo tecnico, interoperabili. Costano ogni anno milioni di euro fra creazione e manutenzione, e spesso gli enti periferici non hanno le competenze necessarie per capire che sistema mettere in piedi, la sua durata, come interagirà con gli altri, ma soprattutto “SE” sia necessaria o meno questa interazione.
L’agenzia per l’Italia digitale, stima che dalla razionalizzazione solo delle piattaforme esistenti, si risparmierebbero 300 milioni in 3 anni. A questi risparmi possiamo aggiungere altri 800 milioni  legati alla riorganizzazione e gestione della sicurezza dei migliaia di data center esistenti.
Senza l’obbligo in costituzione, ci sarà sempre qualche amministrazione che si opporrà non metterà a disposizione i propri dati, anche se viene esplicitamente chiesto dallo stato (ad esempio per creare un database open degli appalti, o della spesa pubblica, un’analisi che sto affrontando nella commissione di inchiesta sulla spesa per la digitalizzazione nella PA).
Vogliamo parlare di turismo?  Ogni regione ha una normativa a sé per i Bed &breakfast, per la classificazione degli hotel, per la disciplina delle guide turistiche. Senza parlare dei beni culturali. Nonché dei trasporti. Quanti si lamentano che lungo la costa adriatica non ci sono collegamenti ferroviari veloci, o quante strade interregionali non vedranno mai la luce?
E’ vero che proprio sui trasporti oppure su energia può esserci il rischio che il governo decida di avviare delle opere (TAV, Gasdotti, estrazioni petrolifere) e che le regioni interessate non possano opporsi.
Penso che, in questo caso, il conflitto si sposterà dalle regioni alle piazze. E che il cittadino potrà organizzarsi e farsi sentire. Non passano certo inosservate le esigenze territoriali dei cittadini.

Sulla modifica del titolo V la mia perplessità non è dunque sul merito.
Ma su ciò che sta dietro tutte queste scelte. Perché chi dovrà poi attuare questi provvedimenti/leggi quadro, saranno i ministeri o le agenzie di stato.

UN BREVE ANEDDOTO DI VITA VISSUTA SUI MINISTERI
Alcuni sono gestiti molto bene, altri sono, come si dice dalle mie parti, “alla frutta”. Non c’è accountability, bassa professionalità, lentezza pachidermica. Di recente, per avere notizie in merito ad un bando, mi sono dovuta interfacciare con una dirigente. L’ho chiamata 3 volte a settimana, per 2 settimane di seguito, semplicemente per sapere lo stato d’avanzamento della pratica. Alla fine sono dovuta passare alle vie più “forti”, paventando una lettera alla ministra ed una chiamata diretta al capo segreteria fino ad un piantonamento davanti al suo ufficio. Mi ha chiamata la sera stessa. La pratica che era da avviare già da un mesetto, era stata inviata solo 4 giorni prima (speriamo sia vero). Dunque ora la palla passerà alla corte dei conti (obbligo di legge), dopodiché si arriverà all’anno nuovo, e… puf! I soldi non ci saranno più. Perché vanno ristanziati dal MEF (altro buco nero della burocrazia)
Prima di questa riforma era più urgente garantire la trasparenza nei ministeri. Faccio fatica da deputata a capire il perché non escono decreti attuativi previsti dalle leggi approvate (quante interrogazioni ho fatto che trovate sul mio sito, su decreti attuativi che mancano, o di leggi non direttamente attuabili e che dunque non vedono la luce).
In questo caso il problema non è il bicameralismo paritario. Puoi fare anche 4 leggi a settimana.
Un terzo non vedrà la luce, e due terzi saranno fatte in rapidità per accontentare un gruppo d’interesse specifico.
La verità è per poter lavorare bene ed essere efficace, un governo deve prima di tutto garantire che la macchina statale, a tutti i livelli amministrativi, funzioni adeguatamente piuttosto che produrre leggi a maggiore velocità.
Meno logiche di fedeltà di bandiera, e più professionalità. Trasparenza sui processi, e responsabilizzazione.
Sapete a chi spetta il compito costituzionale di controllare tutto questo? Ai parlamentari. E se ne togliamo 315 eletti, non saranno certo 100 a mezzo servizio a garantire questo controllo.

E poi  siamo il paese degli 8000 campanili. Non solo in senso di comuni italiani. Ma anche nel senso di gruppi di interessi. Ognuno porta avanti il suo.
Il governo deve capire qual è l’interesse generale. Ma il dato di fatto è che all’interno di ciascun campanile o gruppo di interesse servirebbe una più ampia visione delle cose.
Invece c’è un feroce giudizio che porta i governi ad oscillare fra immobilismo e soluzioni non definitive perché fatte nella fretta.
Perché la politica è pur sempre legata al voto popolare ed appunto, all’opinione della campana di turno.

SENATO DELLE REGIONI

Qui sono più critica.
Come ho spiegato anche in dichiarazione di voto, qui risiede il concetto stesso di democrazia. Condivido l’esigenza di differenziare le camere, e di crearne una più espressione degli enti locali. Un luogo ufficiale, con compiti diversi dalla conferenza stata regioni, dove le esigenze del territorio abbiano la forza di far passare le proprie istanze, facendo da contrappeso agli interessi nazionali. Era però doveroso fare attenzione al punto focale di questo passaggio, ovvero la rappresentanza all’interno delle camere.
Ho verificato dopo questo mio vissuto parlamentare, come i grossi interessi di gruppi di potere, i vari potentati sociali, preferiscano un unico interlocutore, un governo forte, piuttosto che una rappresentanza parlamentare.
Comprendo il concetto di elezione indiretta (seppure con metodo che deve consentire la conformità al voto delle elezioni regionali), ma questo genera due criticità.
La prima è che non sono affatto convinta che questi 100 senatori (tra i quali anche i sindaci) possano espletare questo loro secondo compito in maniera efficace.
La seconda è che difficilmente porteranno avanti gli interessi locali, piuttosto che quelli di partito.
La politica la vedo, la annuso, la vivo. Le voci fuori dal coro non piacciono, e soprattutto per le leggi bicamerali, gli interessi di scuderia la faranno da padrone.
Sarei stata più felice se fossero stati eletti dei senatori a tempo pieno, magari riducendo le spese di rimborso e di gruppo, legati con cordone ombelicale al territorio, tramite elezioni in collegi uninominali relativamente piccoli, così da essere pianamente rappresentativi e riconoscibili. E magari con un meccanismo di mandato nei confronti delle regioni (dato che devono rappresentare appunto gli enti territoriali). Un’organizzazione che potesse consentire un rapporto ufficiale con le regioni era possibile, e a tempo pieno il lavoro poteva essere esercitato certamente più sereno.
In questa maniera invece siamo dipendenti dal nuovo regolamento del senato, che dovrà essere scritto bene per consentire questo doppio lavoro, ma che comunque non garantisce un voto libero dai partiti (voi direte, ma il consiglio regionale esprime un partito di maggioranza! Sì, ma fortunatamente non tutti i senatori di una regione saranno dello stesso colore).
Cosa di non poco conto, e riferita ad un passaggio precedentemente spiegato, cala il numero di parlamentari che esprimono atti di sindacato ispettivo nei confronti del Governo, parte fondamentale dell’attività parlamentare, proprio per l’evidente bisogno di pungolo e controllo che i ministeri necessitano.
Questa parte per me pesa di più di altre. Perché ritengo che il tema non sia la quantità di leggi che emana il Parlamento. Ma la qualità.

REGOLAMENTI PARLAMENTARI
Non comprendo ancora oggi, come mai prima di tutto non si sia messo mano ai regolamenti parlamentari (la costituzione si è modificata a maggioranza, ma i regolamenti non si possono toccare se non sono tutti d’accordo -> non si toccheranno mai).
Trovo assurdo che quasi un terzo della settimana lavorativa parlamentare si passi in aula a votare delle mozioni, che saranno anche una soddisfazione per il singolo parlamentare, ma restano pur sempre atti indirizzo che impegnano il Governo, il quale può tranquillamente non attuare.
ordinegiornoGli atti di indirizzo sono diventati come le pacche sulle spalle. Ne facciamo 2 o 3 a settimana. Quanti di questi atti trovano poi effettiva realizzazione all’interno di provvedimenti di legge? Stessa cosa per gli ordini del giorno. Usati spesso come arma ostruzionistica da parte delle opposizioni, sono spesso carta straccia. Non ricordo chi diceva “ un ordine del giorno non si nega a nessuno”. E comunque, anche come arma ostruzionistica, nel momento in cui una maggioranza non ce l’hai, perdi ugualmente. Quel tempo, di cui oggi si abusa (una volta le mozioni avevano un peso proprio perché sporadiche) potrebbe essere impiegato per analizzare meglio i provvedimenti nelle commissioni referenti. O per dare pareri sui decreti attuativi del governo. O magari per fare audizioni, e preparare i provvedimenti assieme a quella parte di società che concretamente vive sopra la propria pelle gli effetti delle norme.
Il programma della mia prossima settimana lo trovate qui a destra.

CONCLUSIONI

Dopo aver riflettuto a lungo su questi punti, esprimo un voto che mai avrei voluto fosse unico.
Perché con un voto vado a precludere parti positive che ritenevo urgenti.
Votare SI significa un governo più forte, dove le Regioni sono ridimensionate, e dove, dopo 5 anni, a differenza di ciò che avviene oggi, si ha maggiore certezza che ciò che è stato fatto dipende in modo quasi assoluto, dal Governo.
Votare NO significa che si vuole un assetto bicamerale che argina il potere del Governo, che dona maggiore rappresentanza (rispetto ad un assetto con una sola camera eletta direttamente e contestualmente che dà la fiducia), e mantiene più potere alle regioni (con tutti i difetti che ho spiegato).
Il mio voto sarà un NO molto sofferto, perché avrei voluto cambiare il titolo V attuale, e apportare quei piccoli miglioramenti che la riforma porta (Cnel, stipendi consiglieri regionali). Non mi piace come è stato modificato l’istituto referendario, perché le difficoltà nella raccolta firme restano. Non mi piacciono i tempi con cui è stata fatta questa riforma Andava fatta una seria discussione sul ruolo delle regioni, valutando l’accorpamento di alcune. Andavano prima rivisti i regolamenti parlamentari, fonte di grandi ritardi legislativi, e introdotta TRASPARENZA a livello ministeriale.
Più competenza, meno servilismo politico, più accountability.

Infine spero che faremo tutti tesoro di questa esperienza, perché la Costituzione è meglio trattarla per singoli temi, e con una maggioranza preferibilmente più larga. Perché dobbiamo sentirla un po’ nostra. E perché non vorrei si aprisse, con ogni Governo che si succede, una stagione di riforma costituzionale. Facciamo in modo che i cambiamenti durino nel tempo. Ma soprattutto, e lo dico alle dirigenze di partito, mettetevi in gioco. Almeno sulla Costituzione non fate campagna elettorale, e cercate di scendere su un piano di dialogo serio. Altrimenti quello che accadrà in futuro, sarà appunto lo scenario in cui le modifiche avverranno con maggioranze assolute che poi scontenteranno tutti.
Non giudico chi vota SI o chi vota NO, e vorrei che fosse chiaro il percorso (sofferto) che mi ha portato a questa decisione.
Tralasciando (ma non troppo) i toni barbari di questa campagna elettorale, tralasciando (ma non troppo) la mancanza di par condicio nelle televisioni, auspico un futuro di dibattiti più civili. Consapevole dei rischi (reali) che si torni alla giungla del proporzionale, mi assumo questa responsabilità.

2016-12-02T22:47:09+00:00