Un’analisi del Movimento 5 Stelle sull’attuale situazione politica

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L'analisi di Vito Crimi sulla situazione politica ed i prossimi passi del Movimento 5 Stelle

Vito Crimi – Capogruppo al senato per il Movimento 5 Stelle

Se la coerenza (che molti spacciano per presunzione) è una colpa, ebbene sì, abbiamo questa colpa “essere stati coerenti”. Ma sia chiaro che siamo pronti a farlo ancora e poi ancora. Ciò che non condividiamo è il pensiero di chi individua l’errore nel non aver ‘fatto un nome’.
Molti, ancora oggi, ci chiedono perché non abbiamo fatto un nome. Ed ogni volta ci ritroviamo a rispondere: perché avremmo dovuto fare un nome?
Mai ci è stata richiesta – da chi istituzionalmente avrebbe potuto farlo – un’eventuale proposta. La circostanza pareva destare interesse la sola stampa, tuttavia più per mera curiosità giornalistica (gossip), che per una reale prospettiva politica.
Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano abbiamo ribadito la serietà delle istanze del Movimento 5 Stelle, e la nostra intenzione di proporre una rosa di nomi altrettanto autorevole ed importante, tale da renderne scontata l’approvazione in sede parlamentare tramite voto di fiducia. Si sarebbe trattato di personalità di alto profilo professionale, nonché di marcata e riconosciuta distanza dal mondo politico e da incarichi istituzionali che potessero suggerirne una contiguità.
La risposta è stata il silenzio.
Personalmente ho osato ancora di più, chiedendo al Presidente di allontanarsi dall’orizzonte politico, di cercare altrove, fuori della realtà dei partiti, ovvero laddove oggi chiedono si rivolga il suo sguardo quanti nelle elezioni appena trascorse, tra voti al M5S e astenuti, hanno voluto comunicare la loro insofferenza nei confronti della classe politica. La soluzione migliore era pertanto un governo fuori dalla politica.
Come ho in precedenza scritto nel mio resoconto, il Presidente ci ha manifestato la sua propensione a non promuovere un’esperienza con individualità e virtù estranee al palcoscenico politico (portando a tal proposito come esempio il governo Monti, ma non era quello il modello che intendevo ahimè, e comunque ritenendo non ripetibile quella esperienza) e a seguito di elezioni politiche avrebbe potuto vedere la luce solo un governo politico.
Cosa avremmo potuto dire di più? Niente.
La posizione del Presidente era chiara ed esplicita: nessun governo fuori dal mondo politico. A che pro fare nomi?
Nemmeno Pierluigi Bersani, nelle occasioni d’incontro e nei colloqui che ci hanno visto partecipi, ma neanche all’esterno, ha mai palesato la volontà di coinvolgere persone avulse dalla politica, volgendo anzi lo sguardo a persone a lui vicine e ponendosi sempre in veste di Premier, senza alcuna alternativa.
Potevamo noi fidarci? No. Troppe volte abbiamo riposto fiducia incondizionata, troppe volte abbiamo demandato, troppe volte abbiamo lasciato correre, nella speranza che ci fosse una prossima volta per rimediare.
A quanti oggi sostengono che avremmo dovuto offrire una possibilità a Bersani e al PD, chiedo: quante possibilità gli sono state concesse in questi ultimi anni? Quante occasioni hanno avuto per mantenere promesse che sistematicamente venivano disattese? Quando si sono degnati di abbandonare il ruolo di ‘stampella’ di Berlusconi, per indossare finalmente le vesti di una reale forza di opposizione, che potesse aspirare un giorno ad un ruolo di governo per risollevare le sorti del Paese? Perché questa doveva essere la volta buona? Cosa è cambiato?
Abbiamo dinnanzi gli stessi interlocutori di sempre, e da questi provengono ancora le medesime parole e illusioni che da decenni ci propinano, senza averne mai portata a realizzazione alcuna. A tal proposito, abbiamo prodotto un elenco di motivi per i quali non avremmo mai potuto fidarci: l’iniziativa, partita inizialmente quasi per gioco, si è rivelata essere un’inesauribile fonte di ragioni e argomenti.
Dopo aver preso atto, dunque, che mai si sarebbe presa in considerazione l’ipotesi di personaggi estranei all’universo politico ed in particolare di Bersani, abbiamo ritenuto uno spreco di energie l’avanzamento di eventuali proposte: qualunque personalità avessimo suggerito sarebbe servita soltanto a sfamare gli ingordi trangugiatori di gossip, e a fomentare la speculazione giornalistica che da tempo adombra la nostra attività parlamentare.
E se facendo un nome Bersani ci avesse dato il placet? Cosa avrebbe significato? Che avremmo avuto il contentino, un nome, e poi il governo voluto da Bersani e dal PD al quale avremmo dovuto dare la fiducia…. No nessuna fiducia al PD il messaggio è chiaro.
Tanto valeva a quel punto trovare un accordo e dividersi i ministeri… ecco quello significava fare dei nomi a chi aveva come unico interesse formare il “SUO” governo e ottenere la “NOSTRA” fiducia.

Qual è invece il senso – il non senso, anzi – dell’iniziativa del Presidente?
Anche se inizialmente poteva indurre l’impressione di una svolta verso la detronizzazione della casta politica, la scelta di Napolitano non è altro che un’ulteriore conferma della cecità che ha colpito la classe politica: ancora non ha compreso il risultato di queste elezioni.
La logica partitica si riscontra oggi nei gruppi ristretti indicati dal Presidente, che di ‘saggio’ hanno ben poco, e di politico hanno tanto. Altro non sono che la perfetta sintesi della realtà di partito che non vuole saperne di liberarci della sua presenza, ed alla quale gli elettori, con il voto di febbraio, hanno già detto addio.
Questa scelta dimostra che il sentimento degli elettori è ben lungi dall’essere compreso, e rende ancor più chiara la volontà della classe politica a proseguire nel solco della casta, riproponendo Violante, colui che nel 2003 svelò senza vergogna né pudore l’inciucio con Berlusconi, ed ancora oggi gode degli assurdi privilegi riservati agli ex Presidenti delle Camere.
È evidente che non hanno capito – o non vogliono capire – la lezione. Come potremmo fidarci, dunque, di tali individui?
Non è vero, inoltre, che la scelta ci soddisfi: non ci é mai piaciuta alcuna soluzione che estromettesse il luogo istituzionalmente previsto per la formazione delle leggi, ovvero il Parlamento.
Come si evince dalla mia precedente nota, l’unico aspetto cui con piacere abbiamo dato risalto è la condivisione, da parte di Napolitano, delle ragioni che da mesi sosteniamo (ricevendo in risposta sberleffi e critiche di presunti e sedicenti esperti costituzionalisti): un esecutivo c’è sempre, ed è inoltre possibile andare avanti con un governo abilitato a gestire i soli affari ordinari, subordinato all’approvazione del Parlamento per la promulgazione di atti d’urgenza.
Una condizione, quest’ultima, che restituisce centralità al Parlamento, purché questo inizi a lavorare a pieno regime e non a regime ridotto, delegando, come oggi avviene, ad una sola commissione speciale la trattazione degli affari sopra detti.
Forse poteva essere intrapresa una strada mai percorsa prima, e cioè di affidare il governo a Bersani che con i suoi ministri poteva presentarsi al Parlamento e qualora non avesse ricevuto la fiducia poteva continuare, alla stregua dell’attuale governo Monti, senza la fiducia ma solo per gli affari ordinari.

Almeno sarebbe stato rappresentativo di una maggioranza relativa e non di una strettissima minoranza come il governo Monti in regime di prorogatio.

Il Movimento 5 Stelle è stato l’unico ad invocare a gran voce l’immediata ripresa delle attività in Parlamento.
In risposta abbiamo solo ricevuto insulti, venendo tacciati di incompetenza e di incapacità nel comprendere il complicato mondo della politica.
Noi comprendiamo solo la forte necessità del Paese di disporre di provvedimenti urgenti.
I politici – all’unanimità – hanno ritardato la partenza dei lavori parlamentari per subordinarli ad accordi politici, per soddisfare la fame di poltrone con le presidenze delle Commissioni, che si traducono in uffici, risorse economiche ed umane, e nel potere di decidere cosa inserire – e non inserire – negli ordini del giorno e nel calendario.
A queste condizioni, non ci stiamo. I nostri elettori non ci hanno votato per adeguarci al sistema, ma per scardinarlo, per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno.
E adesso, cosa accadrà? In tanti ce lo chiedono.
Adesso il Parlamento lavora.
La settimana prossima presenteremo i nostri disegni di legge, e avremo l’occasione, a distanza di sei anni, di rispolverare la legge d’iniziativa popolare ‘Parlamento Pulito’, sottoscritta da 350 mila cittadini, per chiederne il voto in aula.
Finalmente, i nostri ‘colleghi’ in Parlamento dovranno rendere conto ai cittadini che nel 2007 li chiamavano ad esprimersi su di una legge che prevedeva il ripristino della preferenza. Vedremo se gli auspici e le promesse diffuse ai quattro venti in campagna elettorale dai partiti troveranno riscontro nella votazione in Parlamento, o se rimarranno solo parole.
Proporremo inoltre il reddito di cittadinanza, l’abolizione dell’Irap e altre iniziative legislative direttamente in Parlamento.
Il nostro lavoro legislativo sarà complesso, sarà frutto di lavoro di squadra e non iniziativa personale di ogni singolo parlamentare e ci porterà a proporre una proposta organica e completa per ogni tema.
Ma sappiate che le proposte potranno essere esaminate solo se partiranno le Commissioni permanenti.
Se davvero è urgente fare qualcosa per il Paese ci aspettiamo un’ampia condivisione di tali istanze.
‘Presto’ e ‘subito’ paiono essere le parole d’ordine che ci accomunano tutti: e allora sia, muoviamoci!

Vito Crimi – Capogruppo Senato Movimento 5 Stelle

2016-02-07T15:51:43+00:00